15 July 2015
by Marietta Tidei
Dal 5 al 9 luglio si è svolta ad Helsinki la 24esima sessione annuale dell’Assemblea parlamentare dell’Osce. La Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Csce), poi divenuta Osce, nacque proprio ad Helsinki nel 1975. Fu una risposta dettata dal buon senso e dalla volontà di dialogo di fronte alle difficoltà della guerra fredda. Si comprese allora che la sicurezza doveva essere affrontata attraverso un approccio multidimensionale. Da allora l’Osce si è spesa nella prevenzione dei conflitti e ha supportato la transizione democratica di molti Paesi.
Il 1 agosto 1975 venne approvato l’Atto finale di Helsinki. Quei principi rappresentano ancora oggi un faro per l’intera organizzazione. Si può migliorare un testo così lungimirante come la Dichiarazione di Helsinki? Forse non sarà possibile migliorare le enunciazioni, ma possiamo rendere più attuali quegli ideali e applicarli ai mutamenti della storia. Occorre perciò partire dai valori per rendere vivo lo “spirito di Helsinki” e trasformarlo in azioni politiche concrete.
Non esiste libertà se si è schiavi della necessità. Perché i valori fondativi dell’Osce “contagino” il mondo, abbiamo bisogno di aggredire, con forza, lo stato di necessità materiale, come sancito dal primo degli obiettivi del Millennio adottati dall’Onu nel settembre del 2000. L’Osce deve esortare i governi a ragionare in termini di politiche di rilancio degli investimenti: l’austerità può sembrare una strada semplice. Essa invece implica, alla lunga, una paralisi dell’economia, l’acuirsi della forbice sociale tra ricchi e poveri e delle diseguaglianze. L’austerità alimenta la disperazione dei ceti meno abbienti, fomenta la rabbia, espone il tessuto sociale ai fondamentalismi. Quello che sta succedendo in Grecia è la prova più lampante del fallimento di queste politiche.
Non esiste sviluppo senza giustizia sociale. La prima forma di giustizia sociale è la garanzia che tutti possano accedere ai beni primari necessari. Bisogna ribadire con forza i temi della sicurezza alimentare già individuati nella Dichiarazione di Helsinki, quelli della sicurezza idrica. Una cattiva distribuzione delle risorse idriche è già oggi fonte di turbolenze e conflitti. Cosa dovremmo dire ad un terzo mondo affamato ed assetato quando in Occidente una parte delle malattie è dovuta a scorretta ed eccessiva alimentazione? E’ un paradosso difficile da spiegare.
Occorre una vera e propria “road map” per trovare un giusto equilibrio tra disponibilità e consumo di risorse, alla cui base vi sia una forte solidarietà tra i popoli del pianeta. La Carta di Milano, recentemente sottoscritta da molti Paesi, può rappresentare finalmente l’inizio di questo processo. Ma poi toccherà a tutti far seguire azioni concrete alle dichiarazioni di principio.
Non si può parlare di prevenzione di conflitti e di sicurezza se al tavolo non sono presenti tutti i protagonisti. L’assenza della delegazione russa ai lavori dell’assemblea parlamentare a Helsinki, a seguito del diniego del visto a diversi parlamentari russi da parte del governo finlandese, ha pesato come un macigno. Si è discusso di conflitti congelati, come quelli del Nagorno Karabakh, dell’Ossezia, dell’Abkhazia, della Transnistria, ma, soprattutto di quell’enorme polveriera che è diventata l’Ucraina. Molte delegazioni hanno sottolineato con forza il mancato rispetto degli accordi di Minsk e le tante violazioni dei diritti umani nell’area. Tutti riconoscono che c’è bisogno della Russia nella lotta al terrorismo internazionale ed è perciò necessario impegnarsi a fondo per recuperare il rapporto con Mosca in tutte le sedi, in particolare in ambito Osce.
Lo “spirito di Helsinki” è niente senza solidarietà. Nel mondo ci sono 60 milioni di profughi, l’85% dei quali ospitati nei Paesi in via di sviluppo. L’Europa litiga per una frazione infinitesimale di questa cifra, dando una pessima immagine di sé. Paesi molto più poveri di quelli europei, invece, quotidianamente ci impartiscono lezioni di generosità e di solidarietà. Veri e propri “schiaffi morali” che solo l’arroganza dei “falchi” non ci fa percepire come tali. Compito di chi sostiene lo “spirito di Helsinki” è far comprendere che le grandi crisi in molte del pianeta bussano alle nostre porte drammaticamente e hanno il volto segnato dal dolore degli uomini, delle donne e dei bambini che cercano rifugio in Europa. E l’Europa non può reagire alzando dei muri.
Ora è necessario che tutti si facciano carico di una porzione di quella solidarietà cui l’Europa è tenuta sul piano etico e che sempre più deve diventare la cifra della sua identità. Dico questo perché oggi è importante valorizzare e moltiplicare le sedi di incontro e di dialogo. Questo è esattamente quello che chiamiamo lo “spirito di Helsinki”: non abbandonare mai il dialogo e il confronto per risolvere le situazioni di conflitto. A 40 anni di distanza dall’Atto finale di Helsinki è più che mai necessario ribadire le ragioni che indussero i leader mondiali di allora a sedersi allo stesso tavolo e a promuovere la pace attraverso il dialogo”.